Lo scorso 15 dicembre, la maggior parte delle classi terze del nostro istituto ha partecipato ad un incontro online con Sami Modiano. Lo stesso collegamento si è tenuto con altre scuole cittadine, superiori e secondarie di primo grado. Modiano, uno dei pochi sopravvissuti italiani all’Olocausto, ci ha raccontato la sua esperienza drammatica e le conseguenze che essa ha avuto nella sua vita futura.
Abbiamo riflettuto insieme sulla fortuna che i giovani d’oggi hanno e su quanto sia importante guardare al passato per non commettere gli stessi errori nel presente.
La storia di questo “superstite” ha inizio a Rodi, in Grecia, dove Modiano nasce nel luglio del 1930. Dopo una prima infanzia serena, a causa delle leggi razziali istituite nel 1938, a soli otto anni, Samuel (Sami) è costretto ad abbandonare gli studi. Gli venne vietato l’accesso a scuole, parchi, negozi e altri luoghi pubblici, questo perché lui, come molti altri bambini della sua età, era di origine ebraica.
Anche in casa la sua situazione era complicata; il padre aveva ormai perso il lavoro e la madre era morta da diverso tempo a causa di una malattia.
Nel 1943 la vita quotidiana divenne ancora più dura e un anno dopo, nel 1944, lui e tutta la sua famiglia vennero catturati dai tedeschi e, nel luglio dello stesso anno, deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Al tempo furono 700 i bambini che vennero deportati dall’ isola di Rodi, e neanche la metà di loro riuscì a sopravvivere.
Arrivati ad Auschwitz, la famiglia Modiano subì la sorte degli altri prigionieri: furono separati, alcuni vennero subito uccisi nelle camere a gas, altri invece ritenuti utili per lavorare nel campo. Sami e suo padre vennero allontanati dalla sorella Lucia riuscendo a scampare alla camera a gas.
Nel campo si lottava persino per un po’ di pane, ci ha raccontato Modiano, tra lui ed i suoi compagni non vi era alcun tipo di rapporto; si cercava solamente di sopravvivere.
In quel contesto tremendo, Sami perse la sorella, che ricorda perché lo ha salvato dalla fame, ed il padre, che, stanco di vivere, si consegnò volontariamente al laboratorio del campo, pur sapendo la fine che avrebbe fatto.
Sami rimase quindi da solo, ma, nonostante le proibitive condizioni, riuscì a mantenersi in vita. Fortunatamente i tedeschi furono sconfitti e nel 1945 poté fare ritorno a casa, assieme alle poche centinaia di uomini e donne sopravvissuti.
Gli anni successivi, come raccontano anche altri ex deportati, furono ugualmente terribili, tormentati da domande come: “Perché proprio io? Sarei dovuto morire con gli altri”.
Darsi una risposta è stato difficile, perché, come ci ha detto Modiano, non si esce mai effettivamente da Birkenau. Con il tempo però, è riuscito a scrollarsi di dosso il senso di colpa dedicando la vita alla testimonianza, al racconto della sua storia ai ragazzi, cercando la speranza nelle generazioni future.
PER NON DIMENTICARE. 27 gennaio 2023. GIORNATA DELLA MEMORIA.
Alice, 3C
Il problema, però, è che tanta gente non vuole sapere nulla. Non c’è più capacità di scandalizzarsi, neanche di fronte all’orrore ed al sopruso. La morte, la sofferenza e le atrocità assurde, passano come notizia fra le altre. Il problema è quello della sensibilità umana che non si oppone più neanche al male. La banalità del male, appunto….come scriveva la Arendt. Il male è divenuto banale, per cui nulla tocca più questa sottoumanità che siamo che non si indigna né reagisce di fronte alle ingiustizie. Forse bisognerà instillare in questi giovani un senso di “sana” rabbia, una forte dose di intolleranza verso ciò che non può essere considerato normale. Non è normale il male. Semmai il suo esatto contrario. Forse solo in questo modo ci potrebbe essere una speranza affinché la “bestia umana” se la smetta per sempre di propinare l’orrore.